LA CENA DEL SIGNORE
LA CENA DEL SIGNORE
La Cena del Signore
martedì 8 dicembre 2009
1 Corinzi 11 : 23 - 32
Quello che l’apostolo Paolo ci sta trasmettendo in questo passo non è una tradizione umana ma qualcosa che il Signore Gesù gli ha trasmesso (v.23). Che cosa gli ha trasmesso? Un ordinamento che nel v.20 viene chiamato “Cena del Signore”, destinato non solo alla chiesa di Corinto ma ad ogni chiesa in ogni tempo e in ogni luogo. Come il Signore ha trasmesso a Paolo queste informazioni? Le possibilità sono due: o Paolo è stato istruito direttamente dal Cristo risorto oppure ha ricevuto queste cose direttamente dagli autori dei vangeli. La cena infatti viene pure descritta: 1. nel vangelo di Matteo che fu uno dei partecipanti alla cena ed era quindi testimone oculare di queste cose 2. nel vangelo di Marco che fu uno stretto collaboratore di Pietro, testimone oculare 3. nel vangelo di Luca che serviva con Paolo. Comunque stiano le cose la cosa fondamentale è che Gesù ha voluto trasmetterci questo ordinamento e ciò lo rende un sacro ordinamento, una Cena Santa. Potremmo anche definirlo un sacramento se con questa parola intendessimo “ordinamento sacro”. Purtroppo nei secoli questa parola ha acquisito un significato simile a “rituale magico o soprannaturale” anche a causa della falsa dottrina della transustanziazione di cui parleremo a breve. E’ nostra consuetudine parlare di simboli ma anche questo termine non rende giustizia all’istituzione della cena.
“Il Signore Gesù nella notte in cui fu tradito prese il pane” v.23. questo ordinamento non solo è stato trasmesso dal Signore ma è stato istituito dal Signore Gesù stesso il quale ha “vivamente desiderato” (Luca 22:15) di magiare la cena coi suoi. Era la notte in cui fu tradito, prima di soffrire, egli celebrava con gli apostoli l’ultima pasqua e la prima santa cena.
Prese del pane e dopo aver rese grazie lo spezzò e disse:”questo è il mio corpo che è dato in sacrificio per voi; fate questo in memoria di me”. Si tratta dunque di un memoriale, di un ricordo, ma è pure la testimonianza pubblica di una viva speranza: “ogni volta che mangiate questo pane e bevete da questo calice voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga”. Il pane rappresenta il corpo spezzato del Cristo che si separa dal suo sangue (cioè la vita) rappresentato dal calice del vino. Ma la nostra fede non è in un Gesù morto, ma in un Signore vivente che dopo aver deposto la sua vita l’ha anche ripresa risuscitando dalla morte e salendo al cielo da dove noi aspettiamo con fiducia il suo ritorno, quando alla fine dei tempi verrà a prenderci con sé. Gesù è vivente, e proprio per questo egli promette di essere presente in modo particolare nel momento in cui la chiesa si riunisce per spezzare il pane dicendo “questo è il mio corpo”. “Il calice della benedizione, che noi benediciamo, non è forse la comunione al sangue di Cristo? Il pane che noi rompiamo non è forse la comunione con il corpo del Signore? Siccome vi è un unico pane, noi, che siamo molti, siamo un corpo unico perché partecipiamo tutti a quell’unico pane”. Con questo pane noi entriamo in comunione con il corpo e il sangue di Cristo, ovvero in modo particolare in quel momento benedetto che Dio ci dona, nella sua grazia, la nostra mente prende ancor più consapevolezza che la morte di Cristo ci ha uniti a lui in un solo corpo avendoci acquistato una redenzione eterna. Così in questo momento profondo che Gesù ha voluto istituire per i suoi noi siamo chiamati a discernere il corpo di Cristo. In che modo? La falsa dottrina della transustanziazione insegna che Cristo si incarna ogni santa cena nel pane (o nell’ostia) per ri-sacrificarsi ogni volta allo spezzare del pane, perché spezzare il pane è come spezzare il corpo. Ma questa favola può essere agevolmente confutata leggendo la lettera agli Ebrei dove per ben dieci volte viene specificato che Cristo si è sacrificato in modo perfetto una volta per sempre, non c’è più dunque bisogno di un altro sacrificio per il peccato. Nonostante questo, il concilio di Trento, tutt’ora ritenuto valido dalla chiesa cattolica romana, scaglia il suo anatema su chiunque contraddica questo insegnamento (e dunque anche sull’autore della lettera agli ebrei!).
In realtà discernere il corpo di Cristo significa:
1.Non essere superficiali nello spezzare il pane e bere il vino ma, ricordando la sua morte, noi ci accostiamo a lui per non dimenticare che egli si è donato a noi tramite la sua morte
2.Discernere che le realtà rappresentate nella cena sono verità spirituali. Prima di mangiare la cena dovremmo chiederci se davvero siamo in Cristo, se mai abbiamo mangiato del suo corpo in senso spirituale appropriandoci della sua parola per avere la vita eterna in Gesù che è il vero pane disceso dal cielo (Giovanni).
3.Esaminare noi stessi per vedere se stiamo camminando nella verità o se dobbiamo portare a Cristo qualche peccato non confessato
4.Rendersi conto che (o se) la chiesa locale con la quale spezziamo il pane è il corpo di Cristo. Non a caso Paolo parla della cena mentre riprende i fratelli della chiesa per il loro comportamento privo d’amore nella agapi. Chi non ama il fratello che vede come può amare Dio che non vede?